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mercoledì, agosto 04, 2004

Una gelosia ... doppia. 

A cura di Giuseppe Tortora.
E mail: tortora@unina.it

Siamo all'epilogo. E ormai alla fine del «Simposio»
Terminato il discorso di Alciabiade, tutti i simposianti ne apprezzano la franchezza. È chiaro: Alcibiade è ancora innamorato di Socrate (éti erotikôs toû Sokrátous).
E dunque ora tocca a Socrate. Così pesantemente attaccato, deve pur dire qualcosa. E infatti, rivolto proprio ad Alcibiade, questi esordisce asserendo che tutto ciò che egli ha detto non è dovuto di certo ai fumi dell'alcol.
No, Alcibiade non è ubriaco. Lo mostra - rileva Socrate - la struttura stessa del suo elogio. L'obiettivo era la vendetta. Ma questa è arrivata proprio alla fine del suo discorso (légon epì teleutês). Un piano premeditato, dunque. Un largo giro di parole, condotto con molta abilità, e poi il colpo finale, presentato però in modo che apparisse una cosa secondaria, una mera appendice (hos en parérgo).
L'obiettivo vero dunque - denuncia Socrate - era seminare la discordia fra lui e Agatone (emè kaì Agáthona diabállein); e la causa vera era la gelosia. Nel suo duplice aspetto. Socrate doveva amare solo Alcibiade e nessun altro (oiómenos deîn emè mèn soû erân kaì medenòs állou); e Agatone avrebbe dovuto essere amato solo da Alcibiade e da nessun altro (Agáthona dè hypò soû erâsthai kaì med'hyph'henòs állou).
No, Alcibiade, non sei riuscito a nasconderti!

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