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martedì, dicembre 16, 2003

Neppure Ares … 

A cura di Giuseppe Tortora.
E mail: tortora@unina.it


Dopo giustizia e temperanza, Agatone mette in evidenzia il coraggio di Eros.
A sostegno dell’idea di un rapporto “essenziale”, forte, tra «Eros» e «andreía», il poeta Agatone ricorre ancora all’autorità di poeti, tirando in gioco le autorevoli testimonianze di Sofocle e, addirittura, di Omero.
Quanto a coraggio — come dice Sofocle — «neppure Ares gli si può opporre». «Infatti, non è Ares che possiede Eros, ma è Eros che possiede Ares». Del resto, Sofocle non fa altro che mettersi in linea con quanto asserisce lo stesso Omero: è l'Amore di Afrodite, che guida Ares!
Quindi Agatone tira le somme delineando un bel sillogismo … amoroso.
E dunque: «se chi possiede è più forte di chi è posseduto»; e se chi possiede, domina chi è posseduto, e se chi domina «ha il maggior coraggio rispetto agli altri», allora Eros, che domina anche Ares, è da considerarsi il più coraggioso di tutti».
Agatone, certo, fa l’Elogio del dio Eros e celebra la sua superiorità sugli altri dei. Su tutti gli altri. In effetti egli intende enfatizzare il ruolo del coraggio nell’esperienza d’amore.
Non è vero ch’è il coraggio a rendere possibile l’amore. Al contrario è l’amore che rende coraggiosi.
Non si equivochi. L’«andreía» è una virtù. E’ ardimento, ma non precipitazione. Implica un rapporto armonico tra pensiero e volontà. Spinge a tentare vie nuove, magari finora impensate, ma rifugge il rischio indiscriminato. Anche quest’impulso dunque va amministrato. Ha bisogno di senso e misura.
E dunque — quest’idea è davvero forte— l’«andreía», la «virtù» del coraggio, si compie davvero solo quand’è sottoposta al pieno dominio di Eros.
D’altra parte, all’interno del rapporto d’amore, chi ama non può restare in posizione di quiete mortale; non può adeguarsi a quanto già acquisito. Deve continuamente riprogettarsi e riprogettare il rapporto tentando vie nuove, nuove modalità. Lo stesso amore dunque lo spinge per nuovi percorsi, lo apre a nuove prospettive, lo induce a quel rischio indispensabile per l’autogenerazione, per la rigenerazione.

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