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martedì, luglio 13, 2004

Altro buco nell'acqua. 

A cura di Giuseppe Tortora.
E mail: tortora@unina.it

Alcibiade, nel racconto che fa ai convitati, non nasconde l'amarezza della sua delusione. Dopo tutte le cose sentite e dette ... dopo aver scagliato i suoi dardi ... era convinto d'averlo ferito. Macché!
E allora ...
«Mi alzai, e, senza lasciargli dire più nulla, gli posi il mio mantello addosso, perché era inverno. Poi, sdraiatomi anch'io sotto il suo logoro mantello, abbracciai (peribalòn tò cheîre) quest'uomo veramente demonico e meraviglioso (toúto tô daimonío hos alethôs kaì thaumastô). E ... rimasi lì, così, tutta la notte (katekeímen tèn nýktà hólen)».
Insomma Socrate niente! Nessun cedimento. Neppure a queste iniziative. Sicché, commenta Alcibiade con dispetto misto ad ammirazione, anche in queste circostanze e condizioni Socrate «fu di gran lunga superiore».
Ma Alcibiade non può sottacere che questo comportamento di Socrate, il suo astenersi, gli suonò come disprezzo e derisione, anzi come oltraggio, di quanto egli, Alcibiade, credeva essere il suo miglior pregio: il fiore della giovinezza. E dunque sollecita ed esorta i convitati a costituirsi giudici della superbia di Socrate (tês Sokrátous hýperphanías)!
Niente, dunque. Proprio niente. Alcibiade lo giura per gli dei e per le dee (mà theoús, mà theás): stretto a Socrate, ha solo dormito. L'indomani, insomma, si è alzato senza aver fatto nulla di più che se avesse dormito con suo padre o con il suo fratello maggiore (metà patròs è adelphoû).

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