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lunedì, maggio 17, 2004

Edera, viole e nastri 

A cura di Giuseppe Tortora.
E mail: tortora@unina.it

Alcibiade entra nella sala del simposio sorretto a braccia dalla suonatrice di flauto e da altri compagni d'avventura. Si presenta sulla soglia: ha in testa una corona di fitta edera e di viole e tanti nastri (pollàs tainías). Per prima cosa, chiede se i convitati sono disposti ad accoglierlo come simposiante nonostante egli si trovi in uno stato di completa ubriachezza. Aggiunge che lo scopo della sua visita è d'incoronare Agatone per festeggiare la sua vittoria; non avendolo potuto fare prima, egli intende proprio ora adornare, con i nastri che ha portato con sé, «il capo del più sapiente e del più bello» (tèn toû sophotátou kaì kallístou kephalén).
I convitati sorridono e Alcibiade si risente: ma sì, egli sta proprio dicendo la verità (alethê légo). In ogni caso tutti sono disposti a bere con lui, e dunque Agatone lo invita ad accomodarsi. Sicché, sempre sostenuto da quei suoi compagni, Alcibiade entra nella sala.
Ubriaco fradicio, va a sedersi accanto ad Agatone, o meglio: tra Socrate e Agatone. Ma conciato com'è, con i nastri che gli cadono davanti agli occhi non s'accorge della presenza di Socrate.

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