<$BlogRSDUrl$>

martedì, giugno 22, 2004

Neppure a cena ... 

A cura di Giuseppe Tortora.
E mail: tortora@unina.it

Lo invitai, allora, a cenare con me (pròs tò syndeipneîn), proprio come un amante che tende il laccio all'amato (hósper erastès paidikoîs epibouleúon).
Alcibiade racconta quindi dell'invito a cena. Anzi, degli inviti a cena.
No, non fu facile. Innanzi tutto perché dovette passare un bel po' di tempo prima che si convincesse ad accettare. E poi, quando finalmente si decise ... fu uno strazio!
La prima volta che venne - dice Alcibiade - se ne andò via appena si ebbe finito di cenare (deipnésas apiénai eboúleto). Non mi opposi: in fondo io, in quel momento, avevo ancora un po' di vergogna (aischynómenos).
Ma la seconda volta ... ce la misi tutta. Dopo cena tirai avanti la conversazione fino a tarda notte, e quando manifestò l'intenzione di andarsene, gli dissi che ormai era così tardi ... tanto valeva rimanere lì. Insomma, lo costrinsi a restare (prosenágkasa autòn ménein).
E così si mise a riposare sul letto sul quale aveva cenato. Quel letto era proprio vicino al mio (en tê echoméne emoû klíne). E in quella stanza, tranne noi, non c'era nessuno (kaì oudeìs en tô oikémati állos katheûden è hemeîs)!

This page is powered by Blogger. Isn't yours?