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lunedì, novembre 03, 2003

Strano, Erissimaco. 

A cura di Giuseppe Tortora.
E mail: tortora@unina.it


L' atteggiamento saggio, bonario di Erissimaco — com'è stato notato da Leon Robin — non è altro che «la facciata mondana della sua solennità dottorale».
È un uomo d'ordine. Ha sempre presenti mentalmente catalogazioni e protocolli.
Il suo criterio di vita è lo stesso ch’egli presenta come regola universale. È la misura, dunque l’equilibrio, l’armonia. Un criterio, a suo giudizio, valido in ogni momento e in circostanza della vita. Ed è una regola per ogni arte.
Naturalmente — come s'è detto — è il principio su cui si fonda la medicina. Ma per lui la medicina è l’arte delle arti.
L'«amore duplice» lo vede sempre e dappertutto. In ogni essere esistente sussistono due tendenze opposte, inscindibilmente legate, che richiedono di essere soddisfatte. E anche in ogni evento si fronteggiano queste due tendenze.
In altri termini, l'amore duplice è, dal suo punto di vista, un principio fisico, una legge naturale, che regola la vita dei corpi come quelle delle anime. Le due tendenze si manifestano non solo nella vita degli uomini, ma in ogni forma di vita, anche animale e vegetale, e caratterizza ogni fenomeno naturale, d’ogni genere specie. Laddove l’equilibrio si rompa, bisogna stabilire la sanità, ovvero riportare in armonia i contrari.
Erissimaco, insomma, sembra riprendere i principi della medicina pitagorica. In particolare sembra riferirsi alla teoria di Alcmeone: la malattia sta nel predominio (monarchía) di uno degli elementi opposti sull'altro (amaro/dolce, caldo/freddo; secco/umido ecc.), e la salute sta nell’armonia degli opposti, nell’equilibrio (isonomía), sia pure sempre instabile, dei contrari. L'arte medica consisterebbe pertanto nel saper compensare lo scompenso. E questa è la regola che va praticata in ogni arte.

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