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venerdì, agosto 06, 2004

Come tutti i santi giorni 

A cura di Giuseppe Tortora.
E mail: tortora@unina.it

Il rito del Simposio viene bruscamente interrotto.
All'improvviso un gran chiasso. Dalle porte aperte entrano, facendo gran baldoria, un gran numero di giovani festanti: sciamano nella sala e finiscono con lo sdraiarsi anch'essi.
Salta ogni ordine. E salta pure ogni misura (oukéti en kósmo). Anche per il vino.
Erissimaco e Fedro, e alcuni altri, se ne vanno via. Solo Agatone, Aristofane e Socrate - ricorda Aristodemo, il narratore dei fatti - resistono svegli (éti mónous egregorénai) per tutta la notte, continuando a bere da una grande coppa (pínein ek phiáles magáles) che si passano a destra (epì dexiá). Socrate insiste con loro nel sostenere che uno stesso uomo può scrivere sia cose comiche che cose tragiche (toû autoû andròs eînai komodían kaì tragodían), e che pertanto chi è poeta tragico per arte (tòn téchne tragodopoiòn ónta) è anche poeta comico (kaì komodopoiòn eînai). Ma i suoi interlocutori, stanchi, esausti, ormai incapaci di concentrazione, e con la testa ciondolante dal sonno, consentono con poca convinzione.
Finché anche Aristofane si addormenta. Agatone, invece, si lascia andare allo spuntar del giorno.
E solo allora Socrate si alza e se ne va (anastánta apiénai). Recatosi al Liceo - cioè alla palestra che stava fuori le mura, vicino al tempio di Apollo Licio - si lava. Messosi in ordine ... si dà da fare come tutti i santi giorni (hósper állote tèn állen heméran diatríbein).

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