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sabato, giugno 26, 2004

Siamo ormai al punto! 

A cura di Giuseppe Tortora.
E mail: tortora@unina.it

Alcibiade s'avvia a completare il racconto del secondo invito a cena.
Dunque lui e Socrate si trovano su letti vicini. Non c'è nessuno. Anche i servi sono stati allontanati. La lampada è spenta. Gli sembra ormai di non dover più tergiversare. Deve dirgli in tutta libertà le cose a cui tiene!
Lo scuote dolcemente e gli chiede se sta dormendo, e, assicuratosi che sta sveglio, gli dice con semplicità che a lui sembra che Socrate sia davvero l'unica persona degna d'essere il suo amante (sy emoí dokeîs emoû erastès áxios gegonénai). Non comprende - aggiunge - perché stranamente Socrate non prenda l'iniziativa. Gli pare strano che esiti a farne parola. Comunque, questo è il suo sentimento! Anzi a lui, suo maestro, egli non esiterebbe ad offrire ciò di cui avesse bisogno, sia sul piano economico che su quello delle amicizie; e dunque, gli pare cosa del tutto insensata (pány anóeton) non offrirgli i suoi favori "anche in questo" (soì mè ou kaì toûto charízesthai), anche sul piano dell'amore. Sarebbe il completamento del rapporto. Quel completamento che gli permetterebbe di realizzare appieno quello ch'egli, Alcibiade, ritiene essere la cosa per lui più importante: «diventare, quanto più è possibile, migliore» (hóti béltiston emè genésthai). E, per raggiungere quest'obiettivo, non c'è altri che Socrate che possa aiutarlo davvero.
No, a lui non interessa nulla di quel che penserebbe la gente comune, quella che non capisce. Certo, sono i più. Ma egli non proverebbe alcuna vergogna alla loro riprovazione. Anzi - dice Alcibiade non senza finezza retorica - proverebbe molto più vergogna di fronte a coloro che capiscono quel che sta accadendo tra loro: tali persone, infatti, troverebbero strano, ingiustificabile, che, per raggiungere il suo nobile obiettivo, egli non concedesse tutti i suoi favori a un uomo come Socrate.

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