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martedì, marzo 23, 2004

I figli più immortali e più belli. 

A cura di Giuseppe Tortora.
E mail: tortora@unina.it

Quel che lega l’amante e l’amato sono i parti della “ricerca del sapere”. Quel che li accomuna sono i prodotti della generazione spirituale, i «figli più immortali e più belli». Entrambi “allevano quel ch’è nato”; entrambi si assumomo la responsabilità della cura di quel ch’è stato da loro stessi generato (paidàs). È questo che genera la loro reciproca coappartenenza.
E chi non desidererebbe far nascere e veder nascere in sé figli di questo genere? Forse addirittura “questi” figli dello spirito sarebbero preferibili a quelli umani! Chi non avrebbe desiderato generare o veder crescere in sé le opere (ékgona) che hanno lasciato Omero, o Esiodo, o altri grandi poeti, quelle opere che ancora oggi «procurano loro gloria immortale e ricordo» (athánaton kléos kaì mnémen)? O le le imprese di Licurgo? O le leggi uscite dalla mente di Solone? Chi non avrebbe desiderato le «molte e belle opere» (pollà kaì kalà érga) capaci di «generare virtù di vario genere» (gennésantes pantoían aretén)? «Figli», parti dello spirito, giustamente celebrati con l’innalzamento di veri e propri «templi» (hierà pollà), che finora non sono toccati a nessuno dei «figli umani»!

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