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mercoledì, ottobre 29, 2003

Uno strano singhiozzo. 

A cura di Giuseppe Tortora.
E mail: tortora@unina.it

Nella successione degli oratori, è il turno di Aristofane. Il quale non può parlare perché afflitto da singhiozzo. Forse «aveva mangiato troppo». Di certo aveva bevuto troppo.
Ed Erissimaco, medico, dopo avergli dato qualche consiglio (trattenere il respiro, o, fare dei gargarismi con l'acqua, o , se non passa, solleticarsi il naso per starnutire), prende la parola al suo posto.
Perché questo intermezzo? Non solo perché - come si vedrà - Aristofane adotterà argomentazioni affini a quelle di Pausania, e quindi non era certo il caso di porre in diretta continuità i due «elogi». E non solo per creare uno «stacco» tale da mettere in evidenza il discorso di Erissimaco e da consentire al lettore di concentrarvi tutta l'attenzione possibile.
Non può essere un caso. Molti dei convitati sono buoni bevitori. Ma proprio al commediografo capita il singhiozzo!
In effetti Platone intende mettere Aristofane alla berlina.
Il quale - non dimentichiamolo - nelle sue commedie ha parlato non certo in modo simpatico di Socrate. Nelle «Nuvole» lo prende in giro e fa della pesante ironia sulle sue argomentazioni, associandole alle vacuità dei sofisti. Insomma, compie un'operazione che di certo non avrà giovato a Socrate al momento del processo. Quindi, verosimilmente, il racconto dell'ubriacone colto da singhiozzo è una sorta di vendetta tardiva compiuta da Platone a recupero della figura morale del suo maestro.

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