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mercoledì, settembre 24, 2003

Sembra un procedere alla deriva.
Tanto che Agatone avverte il dovere di chiarire come va fatto l’encomio. «Ma una sola è la maniera retta di fare ogni elogio intorno a ogni cosa: esporre in modo preciso col discorso quale sia colui del quale si parla, e poi di quali effetti egli sia causa. E così è giusto che anche noi elogiamo Eros (tòn Érota kaì hemâs díkaion epainésai), prima dicendo quale è lui, poi quali sono i suoi doni». («Simposio», 194 e – 195 a).
Anche Socrate, a sua volta, lamenta lo strano modo di elogiare il dio. «Io credevo, per la mia ingenuità, che sulla cosa che veniva elogiata si dovesse dire la verità, e che questo dovesse costituire il fondamento e che, scegliendo le più belle fra le cose vere, si dovessero presentare disposte nel modo più conveniente. E già pensavo con orgoglio che io avrei fatto un bel discorso, nella convinzione di conoscere la verità per quanto concerne il fare l'elogio di qualsiasi cosa». Mi sbagliavo. «Sembra, infatti, che si sia preso accordo che ciascuno di noi fingesse di elogiare Eros, e non già che lo elogiasse veramente («Simposio», 198 d-e). Poi lo stesso Socrate finisce col dire che Eros non è un dio, ma un demone, è una forza interiore propria dell'uomo che lo spinge verso le cose più belle e migliori, e stabilisce il nesso tra eros e filosofia.
Con l'arrivo di Alcibiade cambia la scena. L'elogio di Eros diventa un elogio … di Socrate fatto col risentimento proprio di un innamorato respinto. Alcibiade non era stato capace di vivere l'Eros come tensione verso la verità.
Se il dialogo si chiude così, allora Platone intende mettere ben in evidenza che Socrate è l’incarnazione del nesso imprescindibile tra conoscenza ed eros, e intende farlo proprio attraverso ciò che Alcibiade, sia pure con l’astio di chi ha subito un antico rifiuto, dice del suo ex maestro.

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