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lunedì, settembre 22, 2003

Finché ... non irrompe Alcibiade, il quale in realtà si propone lui stesso come maestro del bere e dei discorsi. Peraltro egli elude apertamente il ruolo di Fedro, dal momento che non «consegna» a questi - come da procedura concordata - il suo discorso, bensì a tutta la compagnia dei convitati («Simposio», 194 d).
E di fatto questa autodesignazione di Alcibiade viene accettata da tutti i convitati. Solo Erissimaco è recalcitrante.
Infatti, dopo essersi disteso, Alcibiade dice: «E allora, o amici, mi sembra che vogliate fare gli astemi. Non voglio permettervelo! Bisogna bere! Questi sono gli accordi fra noi. E come arbitro del bere (árchonta tês póseos) fino a che voi non abbiate bevuto a sufficienza, io eleggo me stesso. Su, Agatone, se c'è, fa' portare una coppa grande. Anzi, non ce n'è bisogno! Ragazzo, porta qui quel vaso per tenere in fresco il vino!». Poi dà ordine di versare il vino a Socrate.
Erissimaco però sollecita: «Allora, Alcibiade, come dobbiamo fare? Non diciamo qualcosa davanti alla coppa né cantiamo? Beviamo semplicemente come degli assetati?».
In realtà Alcibiade è già ubriaco. Non è in grado di governare il banchetto. E balbetta: «O Erissimaco, figlio eccellente di padre eccellente e temperantissimo, salve!». Ma Erissimaco incalza: «Salve anche a te! Ma che cosa dobbiamo fare?».
E Alcibiade, senza capacità di controllo: «Facciamo quello che tu comandi. A te bisogna dare retta, perché "un uomo che è medico vale più di molti". Stabilisci, dunque, quello che vuoi».
Al che Erissimaco: «Prima che tu entrassi abbiamo stabilito che ciascuno, a suo turno procedendo verso destra, dovesse fare un discorso su Eros, il più bello che potesse, e ne facesse l'elogio ?»
Dunque Erissimaco prende in mano la situazione riproponendo il vecchio programma, senza però che Fedro, il simposiarca designato, intervenga! («Simposio», 213 e ? 214 b).

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