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domenica, settembre 07, 2003

Allora – si diceva - alla riflessione sul tema dell’amore occorre partecipare con la mente e col cuore. Ma con la consapevolezza ... che questi «discorsi sulle cose d’amore» vanno fatti, appunto, in termini di «discorsi filosofici». Vale a dire: essi vanno condotti cambiando registro, pensando in modo diverso da quello corrente; ossia, mettendo tra parentesi quei valori comunemente condivisi che costituiscono i nostri abituali punti di riferimento, mettendo in discussione le piccole certezze che danno tranquillità e sicurezza alla nostra vita quotidiana.
I discorsi di filosofia – dice Apollodoro – sono d’altra natura! Richiedono un atteggiamento mentale differente da quello che caratterizza il modo di pensare di chi ha eletto come valori prioritari il lavoro, la ricchezza, ma possiamo anche aggiungere – che so? – il sesso, il potere, ecc. Quelli filosofici sono discorsi destabilizzanti.
E dunque, chi fa certi discorsi … rischia d’esser considerato "kakodaímon". Un bel termine, questo, che nella traduzione di Giovanni Reale (Platone, «Simposio», ed. Rusconi,1993) viene reso con “sventurato”. Esso individua colui che è «posseduto da un cattivo genio». Questa “possessione” è, certo, una «sventura», per il malcapitato, e quindi è una condizione d’«infelicità», ma, d’altra parte, lo caratterizza come «diverso», di un’«anormalità» che, rispetto agli altri, al modo di vivere comune, è patologica. Insomma, vista dagli altri, quella diversità, per dirla tutta, è «pazzia». Pertanto a fare certi discorsi sicuramente – come dice Apollodoro – se ne trae dell’utilità e se ne ricava gioia, ma si rischia pure di passare per matti. Perché pensare filosoficamente alle cose d’amore significa davvero pensarle nel modo in cui le penserebbe … un pazzo!

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